reflection

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Ambrosio Paolo, anni 2000>

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Reflection 

Reflection in the mid seventies, conceptual art was displaying its cognitive and inventive characteristics while semiotics was becoming independent from science. At the same time, Paolo Ambrosio’s research strained towards semantic essentialism, leading to a sign language innervated on the dichotomy of black and white. The abstraction of black, recovering vital energy, is reminiscent of the flow of the richly imaginative.

The works “Non cercare il senso delle cose ma introdurvelo” (1979), “Noi ci facciamo immagini dei fatti” (1979), “Il mondo quale tutto limitato” (1979) and “Respiri di una notte d’estate” (1981) – like the “Senza titolo” works of 1977-1981 – introduce a dryness of language where beams of signs are born from the dimension of silence of the black canvas and explode like dazzling photograms.

During the eighties, propaedeutically functional and knowingly creative drawing is found in the repeated experimentation of a different articulation of language. The magma-language of mnemonic matter – the outcome of existential states of tension – detaches fragments of memory to form a connective tissue of an absolutely autonomous quality between past and present.

In the canvas – like in a “courtyard of words” – the sign (out)lines reality, penetrating its secrets and takes conscience of a labyrinthic subterraneousness in a seal-free time of memory. Signs distil images and determine authenticity of language by crystalline mutual relationships, without ambiguity nor impulsive improvisation of gesture. Drawing is born of colour, not frozen by it and from it acquires value.

The colour-sign whole – with its density, thickness, rips and unexpected revelations – reveals cosmic sensualism. In “Almanacco poetico” (1989), chromatisms are lyrical articulations; in “Eterea presenza” (1989), colour renders the suggestion of motionless time.

The titles and the flow of signs of works in the eighties and nineties recall Montale’s poetry as if stating that in the impossibility of penetrating the nothingness as the secret of the world one can only become as Montale’s “cuttlefish bone” keeping low amidst the things tossed around by the waves and disappearing slowly or, in the nakedness of a dry branch, appeal to hope and, as dreams reappear, be reborn. The delirium of immobile time versus atemporality as the hope of escape.

Essential moments of the research process are works of the “Topografie” series (1996). Topographies are the combinations of mutable, provisional situations which reflect reality. Art thus becomes “open” and circumstantial.

From 1989 to the 2000s, the use of gauze and toilet paper as a veil has perceptive valence and gives life to a system of echoes located on the crest of the unconscious, consolidating attention on fleeting moments of absolute harmony in space with their diaphanous and moving presence.

In the nineties, the “courtyard of words” expands with relieving awareness. In the works entitled “Architetture senza tempo” (1992), “Suite” (1992), “Schegge” (1993), “Risonanze” (1993), “Tarsia” (1993), “Voci” (1994), “Riferimenti” (1995), “Women” (1996), “Personaggi” (1998) and “Prospettive” (1998), painting is the vehicle of communication as the thought that evokes the word and the memory of the past when it is projected into the storms of reason. They are variants that delocalise the “prisons without frontiers” inherent in research, shuffling the cards again. Summing up certain themes of its prior action, enquiring into them, completing them, developing them and opening them out to new perspectives.

They are the practical reflections of an author for explaining aesthetics, while the individual “series” taken one at a time are not lacking in general references.

Face to face, repeated and immobile.

Research in art means obeying its own history, locating outside, finding a place for incessant and necessary formal invention, a singular scope of action, like in a novel is not the sequel of poetry using other means but the negation of poetical idealisation, at the antipodes of the poet’s poetry. It is inventing a personal speculation, understanding history like an illumination which leads to truths by infusing in our certainties doubt, ambiguity, paradox, questions. Art, not for recording all the vicissitudes, variations and infinite repetitions of history like a huge mirror but for creating its own history.

“Déchirer les rideau”, tearing open the interpretation curtains provided by society in the wild, parasitic proliferation of works, with a thought that wanders and diversifies in short sequences of excellent density, counterpoint, echo, return, rediscovery.

Research is not a grammatical exercise, but implies wisdom, an attitude, a demystified point of view on the world seeking to expel the surplus effects.

There are more good artists today than members of their audience. Ambrosio’s research harbours an irresistible subjective resistance tool against the status of merchandise where, instead, “commercial folly replaces ideological folly”.

 

Riflessioni

A metà degli anni ’70 l’arte concettuale mette in mostra le sue caratteristiche conoscitive e progettuali e la Semiologia si rende autonoma dalla scienza linguistica. Nello stesso periodo la ricerca di Paolo Ambrosio tende ad una essenzialità semantica mediante un linguaggio segnico incentrato sulla dicotomia bianco-nero: l’astrazione del nero, in un recupero dell’energia vitale, richiama il fluire dell’immaginifico.

I lavori, “Non cercare il senso delle cose ma introdurvelo” 1979, “Noi ci facciamo immagini dei fatti” 1979, “Il mondo quale tutto limitato” 1979, “Respiri di una notte d’estate” 1981, come i lavori “Senza titolo“ degli anni 1977-1981 introducono nella ricerca una secchezza di linguaggio nella quale fasci di segni nascono nella dimensione del silenzio della tela nera ed esplodono come folgoranti fotogrammi.

Negli innumerevoli disegni su carta spolvero del 1979, con un gesto dadaista, si evidenzia che l’altra estremità della matita non ha la gomma ma una punta che rifila e prosegue il disegno col taglio.

Negli anni ’80 nel reiterato sperimentare una differente articolazione del linguaggio ritroviamo un disegno propedeutico al creativo consapevole. Il linguaggio-magma che proviene dallo strutturarsi della memoria come risultato di tensivi stati esistenziali, stacca frammenti di esperienza passata (immagini, sensazioni, emozioni collocate nello spazio e nel tempo) per farne un tessuto connettivo tra passato e presente con una qualità assolutamente autonoma.

Nella tela, come in un “cortile di vocaboli”, in un tempo della memoria senza sigilli il segno de-linea la realtà, ne penetra i segreti, e prende coscienza di una sotterraneità labirintica. Questi segni non hanno in sé l’ambiguità del gestuale, sono bensì elaborazione consapevole del fare, distillano le immagini e determinano l’autenticità del linguaggio. Il disegno nasce nel colore, non vi si congela, ma da questo acquisisce valore.

L’insieme colore-segno con la sua densità, spessore, gli squarci e le rivelazioni improvvise, rivela un sensualismo cosmico. In “Almanacco poetico” 1989 i cromatismi sono articolazioni liriche, in “Eterea presenza” 1989 attraverso il colore si rende la suggestione del tempo inerte.

Nelle opere degli anni ’80 e ‘90 i titoli dei lavori e il fluire dei segni richiamano la poesia di Montale come a dire che nell’impossibilità di penetrare il nulla come segreto del mondo non resta che diventare come “l’osso di seppia” montaliano e nascondersi in mezzo alle cose sballottati dalle onde annullandosi lentamente, oppure, facendo appello alla speranza, al riapparire dei sogni rinascere nella nudità di un ramo secco: delirio del tempo immobile  contro atemporalità .

Nel percorso di ricerca citiamo come momenti essenziali i lavori con titolo: “Topografie” del 1996-1988. Le topografie sono combinazioni di situazioni mutevoli, provvisorie, che rispecchiano la realtà. L’opera diventa in questo modo “aperta” e circostanziale.

Dal 1989 agli anni 2000 le garze e l’uso della carta igienica con funzione di velo, hanno valenza percettiva, danno vita ad un sistema di echi collocati sul crinale dell’inconscio e rafforzano l’attenzione con la loro diafana e mossa presenza su labili momenti di assoluta armonia dello spazio.

Negli anni ’90 l’immagine simbolica “cortile di vocaboli” si amplia con una liberatoria presa di coscienza. Con le serie di lavori: Architetture senza tempo (1992), Suite (1992), Schegge (1993), Risonanze (1993), Tarsia (1993), Voci (1994), Riferimenti (1995), Women (1996), Personaggi (1998), Prospettive (1998), Cilindri percettivi (1999), la pittura si fa veicolo di comunicazione come pensiero che evoca la parola e la memoria del passato quando viene proiettata nella temperie della ragione.

Sono varianti che delocalizzano le “prigioni senza frontiera” insite nella ricerca, per ridistribuirne le carte. L’autore ricapitola certi temi del passato per approfondirli, completarli, svilupparli, aprirli a nuove prospettive: sono riflessioni pratiche con riferimenti generali  che permettono di chiarirne l’estetica nell’ immobilità e ripetitività.

Con l’esperienza del vetro il bisogno di ricerca ha portato ad un approdo nuovo. Il materiale completamente diverso nel suo utilizzo e nel risultato conseguente ha convogliato nuovi interessi e stimoli. Interesse per “piegarlo” ai bisogni necessari a realizzare l’opera ma anche stimoli per superare i problemi relativi all’uso di codesta materia che diventa plasmabile solamente nel forno a 950°.

I risultati sono interessanti al di là del valore plastico perché la fusione vetro-colore mette in valore la trasparenza del vetro stesso realizzando un vecchio sogno: “catturare la luce con i colori”. Sogno di sempre di tutti gli artisti che hanno usato tutte le tecniche pittoriche.

L’opera appesa e posta a 15 centimetri dalla parete bianca riceve per riflesso da questa la luce che mediante la trasparenza del vetro valorizza naturalmente i colori ed a differenza del vetro cattedrale ha una intimità tutta sua.

Fare ricerca nell’arte significa obbedire alla sua propria storia, è situarsi fuori, trovare luogo di incessante e necessaria invenzione formale, un campo d’azione singolare come nel romanzo che non è il seguito della poesia con altri mezzi ma lontano dalla poesia dei poeti. E’ inventare una riflessione personale, capire la storia come un’illuminazione che porta a delle verità inserendo nelle nostre certezze il dubbio, l’ambiguità, il paradosso, l’interrogazione. L’arte, non per registrare come un grande specchio tutte le peripezie, le variazioni, le infinite ripetizioni della storia, ma per creare la sua propria storia.

“Déchirer les rideau”  stracciare le tende delle interpretazioni fornite dalla società con la proliferazione selvaggia e parassitaria di opere, mediante un  pensiero che vagabonda, si diversifica con sequenze brevi di buon vigore,  contrappunto, di eco, di ritorno, di riscoperta.

La ricerca non è un esercizio di grammatica ma implica  saggezza, attitudine, un punto di vista demistificato sul mondo che esclude gli eccessi.

Oggi i buoni artisti sono più numerosi dei fruitori. Nella ricerca di Ambrosio dimora un irresistibile strumento di resistenza soggettiva contro un mondo mercantile dove “la follia commerciale rimpiazza la follia ideologica”.